alle famiglie…..
Ho lavorato per molto tempo in qualità di terapeuta artistica e/o formatrice del personale nelle case di Riposo e in centri diurni Halzeimer.
Ho potuto incontrare i nostri anziani, raccogliere le loro tristezze e le loro gioie.
I loro ricordi rappresentano un patrimonio per l’umanità;
la loro umanità un patrimonio per il mondo intero.
Sono stata stordita dal toccare con mano la disumanizzazione che l’Istituto rappresenta, lo sradicarsi di vite individuali, di affetti, abitudini, sogni , desideri e l’omologazione ad uno standard organizzativo che seppur realizzato con le migliori intenzioni è pur sempre omologazione.
Lo stigma che ti etichetta come “anziano” o “anziano non autosufficiente”.
Ma ho incontrato anche anziani inseriti sereni, tranquilli…perchè ..di solito l’essere umano se invecchia bene sa che bisogna adattarsi, ha grande pazienza e capacità di perdono e di giustificazione verso i figli e parenti tutti che non possono far diversamente. “…Loro lavorano , hanno i bambini . Sono più tranquilla qui in Casa di riposo, per me l’importante e che siano felici loro…”
Nei giorni del primo lockdown…quando chiusa in casa sentivo le cifre dei morti nelle Case di riposo ero lì, in spirito con loro.
Stavano morendo e le famiglie erano fuori. Mi immaginavo il turbinio disperato del personale che non sapeva come affrontare il dramma. Sentivo nel mio cuore la paura che quei “nostri vecchi” stavano vivendo, sentivo le preghiere che loro sanno pregare e …fuori figli e figlie… mariti, mogli …amici che non potevano entrare.
Poi il mio pensiero andava nei reparti di terapia intensiva. Le intubazioni e la gente che moriva. La più fragile, la più anziana…
e la famiglia fuori che non poteva salutare.
E i funerali che non c’erano, le lacrime che diventavano shock, spavento…follia di una separazione che andava oltre ogni nostra più nefasta previsione.
E’ ho visto poi che le piccole cose che appartenevano al parente defunto venivano consegnate a volte, e se venivano consegnate era in un sacchetto nero…
A casa, tra nipoti, figli, parenti quel sacchetto troppo spesso non viene ancora aperto oggi…o se l’abbiamo fatto è passata una vita prima di riuscirci.
Non posso, come posso accettare di non averti visto, salutato. Consolato. Come posso accettare di costruire una nuova vita se la nostra non è finita, non mi hanno fatto vedere che finiva… non mi sono accorta che finiva.
Adesso dobbiamo riprenderci, dobbiamo comprendere, dobbiamo accettare.
Tornare indietro e srotolare l’omologazione, l’istituzionalizzazione, dobbiamo uscire da quel reparto di rianimazione e tornare alla singola persona, alla sua storia, al nostro personale legame con loro e compiere noi, anche per loro quei passi che creano il momento di inestimabile valore: il commiato, il saluto, il perdono reciproco , il lasciarci andare per non perderci mai più.
Dobbiamo tornare all’umanità individuale, al valore individuale.
Pandemie, grandi o piccole nell’umanità ce ne sono state molte. Forse, quando gli ospedali non c’erano la morte avveniva in casa, in casa ci si infettava e curava reciprocamente. Penso a mia nonna Angela e alla spagnola: lei è stata l’unica a non prendersela in famiglia e ha curato, guarito e purtroppo seppellito tanti famigliari…penso a Don Bosco e ai suoi bambini che giravano per le strade di Torino a curare e soccorrere e seppellire i malati
Ma adesso le ambulanze, gli ospedali, …adesso siamo morti in meno di una volta ma siamo morti da soli.
Compiamo insieme il percorso di tornare al nostro cuore, riprendiamo il valore di ogni singolo essere umano che è morto lontano da noi, ricreiamo quel filo d’oro che saprà dare un senso, collocare, accettare ed amare la fine del nostro caro…
Restituendo la dignità ad una morte, la dignità e lo splendore ad una vita che ha finito il suo cammino qui, da noi.
Al personale sanitario…
Ho raccolto testimonianze di infermiere/i , oss, medici, soccorritori, ostetriche,..che hanno lavorato per noi nei reparti covid e negli ospedali.
La gratitudine che provo, per chi tra loro ha mantenuto gentilezza, accoglienza, pazienza e scientificità anche in quei momenti in cui era troppo difficile farlo , è grande ma in più vorrei dirvi che comprendo le lacerazioni dell’anima che periodi come questi ti procurano.
Comprendo e sono con voi quando i ricordi di momenti particolarmente complessi, dolorosi risalgono improvvisi tra le ciglia.
Comprendo come la commozione di un successo vi invada il pensiero ed il cuore anche mentre state vivendo la vostra vita privata .
E sento, perché l’ho sperimentato anche io nella mia professione, come sia necessario diventare duri, professionali, quasi freddi con noi stessi …per sopravvivere, per trovare un senso alle morti che non avresti voluto, allo stress da troppo , assurdo, confuso lavoro.
E tronando a casa con voi, al termine di un turno snervante timidamente vi suggerisco di fare il possibile per nutrire la vostra vita emozionale cercando il bello, il buono, il vero come sostanze per l’anima che vi restituiscano energia, motivazione, gioia per la vita.
A ognuno di voi, di cui vorrei raccontare la storia, le emozioni, la vita vorrei giungesse il mio incoraggiamento a ritrovare …qualora si fosse nascosto il personalissimo valore, l’etica, la potenza di una scelta professionale che solo chi la compie con saggezza e onestà può comprendere e che , si sa , nulla e nessuno potrà mai distruggere.
Formazione, attività di sostegno , di condivisione, rielaborazione dei vissuti…questo dovete poter e voler compiere.
L’arte di guarire, l’arte di vivere …tornate ad essa e scoprirete come la vostra opera professionale è ancora oggi, nonostante oggi, un meraviglioso dono all’umanità!