Agire per l’integrazione, per la fraternità, per la cura di ognuno di noi
e dell’ambiente attorno a noi…
l’arte può essere il linguaggio più concreto ed efficace.

Quando si pensa alla terapia artistica si attinge solitamente all’immaginario limitante che considera l’espressione artistica quale portatrice di beneficio in quanto tale : offre libera espressione alla creatività dell’autore, parla in maniera spregiudicata del rapporto che esso ha con la realtà o meglio ancora con l’universo emozionale.

Ne consegue che spesso si venda l’assioma che ogni setting artistico in cui persone, ad esempio, con qualche disturbo psicologico o psichiatrico dichiarato si trovano e disegnano .. sia di per sè cura e non ci si esima dal chiamare “terapeutico” qualsivoglia esperienza che promuova la libera espressione creativa. Non trovo che sia necessariamente sbagliato questo punto di vista ma appunto limitante.
La libera creatività di una persona che ha nuclei di sofferenza fino alla patologia può ed è, nella maggior parte dei casi ,una buona cosa.

La mia esperienza ormai trentennale nell’ambito dell’uso dell’esperienza artistica come modalità comunicativa e di cura ha però accumulato miriadi di di prove che mi dicono: spesso dalla sofferenza nasce solo ulteriore sofferenza .
La libera espressione di un soggetto psicotico per esempio è dolore puro . Il guardare, da parte dell’autore il lavoro realizzato può senz’altro creare gioia di inestimabile valore ma purtroppo si rivela come gioia superficiale in quanto, in fondo, non è quella liberazione che si spererebbe di raggiungere ma semplicemente: svuotamento da immagini che altrimenti avrebbero divorato lo spazio interiore.
Cosa succede a quello spazio che si è creato e che diciamo così :“libero”?
Se ci limitiamo a questa esperienza ( e qui non mi soffermo sul lavoro spesso drammatico dell’interpretazione e catalogazione delle opere stesse che noi professionisti poi forniamo per l’autocompiacimento che deriva dal poter spiegare, catalogare, e giustificare tempo ,denaro investito nel nostro seppur nobile operato) purtroppo si evidenzia il fatto che involontariamente abbiamo fornito in un piatto d’argento niente altro che la possibilità di tornare a riempire quello spazio liberato con altre immagini devastanti, con altro dolore, aumentando e cronicizzando ancor più la patologia.

Quindi è necessario pensare anche ad “altro”.

Uno dei significati piu semplici della parola terapeutica è: ciò che porta giovamento.
Giovamento non è alleviare un sintomo ma ..:.”procurare un vantaggio, un miglioramento durevole, specificatamente se è dovuto all’efficacia di un rimedio.”
Quindi se l’esperienza artistica si definisce terapeutica dovrà portare appunto “giovamento”.

Il proporre “altro”non può limitarsi alla realizzazione di oggettistica o opere banali commissionate da chi conduce il setting. Ma deve “concimare” il terreno psichico affinche vi si crei humus che svilupperà rimedi efficaci individuali e collettivi. E’ uno dei sensi della cultura anziché il nozionismo.
Non bastiamo noi con la nostra fantasia a portare giovamento, anche se noi siamo determinanti. Dobbiamo assumerci la responsabilità di individuare un cammino che offra un qualcosa che va oltre l ‘ esperienza della fragilità, della patologia. Abbiamo bisogno di scegliere e di portare a chi soffre e che si sta affidando a noi elementi “oggettivamente sani”. Che fanno bene, che forniscono del nutrimento con “sostanze buone” a quello spazio psichico precedentemente liberato dallo sfogo artistico. Dobbiamo proporre meraviglie dell’umanità che non possono essere legate, perché troppo ampie per bellezza e verità, a particolari ideologie, teorie scientifiche o religioni che dir si voglia.
Proprio nell’arte l’essere umano può trovare questa universalità.

Universalità che è tale proprio perché trascende l’esperienza personale del singolo autore ma nutre ciò che ha necessità di nutrimento per l’umanità tutta. Non si ferma di fronte a differenze culturali, di età, di ricchezza o povertà.
Ed è proprio questa universalità del bello, del buono che ci apre la porta al vero. Un vero che appartiene a tutti, che richiama la crescita interiore di tutti. Sempre.

Il Cantico delle Creature ne è un esempio di inestimabile valore.

Se si scorrono i diversi quadri del Cantico si viene naturalmente accompagnati all’incontro con le diverse manifestazioni della creazione con una semplicità sconcertante.
Si percepisce e, quasi si è costretti ad immedesimarsi, una speciale devozione che va oltre ogni convinzione scientifica o religiosa.
Semplicità, appartenenza, stupore, gratitudine.
Francesco compone questi versi non in veste di semplice osservatore.
Lui è ciò che descrive e vicendevolmente ciò che viene descritto è dono per lui.
Se si leggono alcune pagine della Legenda da Maior di Bonaventura si scoprono episodi straordinari della vita dell’autore:
– salutare presso Siena un gregge di pecore e queste corrergli incontro;
– narrare di una pecora singola che entrata in chiesa belava e si prostrava a rimproverare i
fedeli che scorgeva distratti;
– accogliere tra le braccia un leprottino nelle vicinanze di Greccio e ammonirlo di non
lasciarsi catturare;
– accettare da un pescatore un uccello acquatico sul lago di Rieti. L’uccello si rifiuta di
abbandonare il santo e poi spicca il volo esprimendo con evoluzioni la sua gioia;
– rigettare nel lago di Rieti un grosso pesce (subito battezzato frate pesce) che gli era stato offerto,
il quale rimase a giocare attorno all’imbarcazione in attesa di essere benedetto..per citarne alcuni.

Francesco appartiene ai doni dell’universo e con la sua letizia all’universo intero.
Appartiene e offre a ogni lettore la stessa esperienza, se viene accolta nella sua interezza.

Semplici, si le sue parole sono semplici, essenziali. Non danno adito ad alcuna interpretazione intellettuale .
Francesco, quando lo compone è molto debilitato fisicamente, quasi cieco.
La sua è percezione va ben oltre i semplici sensi fisici. La sua è percezione accogliente, compartecipata: il suo respiro fisico ed interiore si modula e si esprime attraverso le vibrazioni della creazione.
Questi quadri descrivono presenze reali a disposizione di ogni essere umano che esiste sulla terra.
E’ canto universale, balsamo, farmaco per renderci consapevoli di far parte, di essere i beneficiari di doni inestimabili.
Ci accompagna ad allargare la nostra consapevolezza, ad espanderci oltre la nostra esperienza biografica non per negarla, per eluderla o soffocarla ma per ampliarne i confini perchè qui, ora questi doni sono per noi . Ma non solo sono per noi, a nostro uso e consumo: la nostra devozione e i nostri sentimenti di gratitudine e servizio rappresentano il senso stesso della loro esistenza in un incantevole reciprocità e dipendenza sublime che può essere la nostra vita sulla terra.
Se ci soffermiamo nella sua lettura ci accorgiamo che tutti noi possiamo apprezzare il Cantico.
Parla un linguaggio adatto ai bimbi, nel loro cammino di scoperta del mondo intorno; all’adulto sano e alla sua necessità di compiere scelte colme di meraviglia e responsabilità. All’essere umano malato, sia esso di una malattia fisica che di una patologia psichica, che ne sorseggia parola dopo parola e vien così accompagnato fuori dal dolore: guarda , ricorda, cerca…
Un anziano, che conosce tanto come il creato sia li per lui e come lui sia li con e per esso;
un povero che mai è privo di queste ricchezze descritte;
un ricco che ne ha perduto il senso perché convinto nel suo delirio onnipotente di poterne usare ogni briciola nell’illusione diabolica di non accorgersi che può tutto questo, esclusivamente perché il Creatore glielo permette aspettando il suo risveglio.
Una donna che ha donato risa e lacrime alla luna, al mare..
Un uomo che faticando ne ha raccolto i frutti sentendosi esso stesso raggio di sole e frutto divino. Tutti, ma proprio tutti possono trovare nel Cantico il proprio cantico.

Ora soffermiamoci ancora un attimo sulla musica del Cantico.
Come sappiamo la musica si rivela proprio nelle pause.
Sono le pause, il punto zero tra una rivelazione e l’altra che ci collega con la Fonte di tutte le cose.
Cosa si scopre nella musicalità del Cantico ?
Ci offre l’opportunità di accogliere interiormente la potenza delle qualità descritte in ogni scena lasciando solo all’ultimo quel meraviglioso mistero della secunda morte e del perdono.
“Secunda morte” non è forse uno sprone profetico che vuole svegliare le coscienze dal vero e grande pericolo rappresentato dalla catastrofica e menzognera preoccupazione di noi uomini moderni incapaci di provar dolore difronte alle stragi ma forsennatamente preoccupati di rimandare, evitare, sconfiggere la morte?
Incapaci di fermare le nostre coscienze a riflettere sulla puerile verità che la morte stessa è inevitabile?
Francesco ci offre la possibilità di sentire come proprio questa inevitabilità renda la Morte nostra Sorella alla pari della bellezza del sole o purezza dell’acqua.
Ma Francesco va oltre.
Quasi sottovoce ma descrivendo un impulso eterno sofferma la nostra attenzione sulla “secunda morte” quella veramente triste.
La morte senza la connessione con il Divino. La morte che ha difficoltà o impossibilità ad incontra re il Perdono .
Il Cristo perdonando sulla Croce ci insegna con tenerezza e potenza l’unico modo di sconfiggere la Secunda morte .
Come non intravedere proprio in quel quadro settimo del Cantico la nostra grande potenzialità di essere creatori noi stessi, fratelli nella Coscienza.
Se apriremo il nostro cuore all’espansione, all’appartenenza alla bellezza e alla bontà del creato come facente parte di noi saremmo in grado di far testimonianza della verità come gocce dell’unico mare di cui facciamo parte.

L’esperienza che ho sviluppato nasce da queste premesse ed ha trovato applicazione in diversi ambiti:
l’ho proposto a singole persone che necessitavano di trovare spazi nuovi e vie d’uscite da nodi feroci della loro esistenza interiore ma che non presentavano nuclei patogeni definibili.
L’ho sperimentato con gruppi di persone affette da patologie da dipendenze per riscoprire la connessione con il mondo circostante e attraverso questo contatto la via per essere ricondotti a Sè.
Malati psichiatrici che attraverso il rigoroso e amorevole cammino nel Cantico vedevano alleviare sintomi e diminuire necessità di interventi farmacologici al bisogno…perchè “bisogno” non vi era più.
Carcerati che, proprio nella consapevolezza espansa dell’appartenenza alla Natura possono trovare il senso del ritorno sano e la speranza della trasformazione.
Ad adolescenti di quartieri popolari, portatori di energie potenti e vulnerabili che ritrovavano grazie ad esso la centralità di ideali , speranze, sogni infantili.
Ad anziani nelle case di riposo affinché nella gioia e nel gioco ritrovassero la saggezza dei loro anni.
A gruppi di formazione in ambito sanitario (infermieri e medici) per alimentare la loro appartenenza al sano ed in essa trovare le risorse dell’accoglienza del mistero di ogni uomo.
A gruppi di volontari, modulo formativo determinante per la centratura necessaria al dono. Per uscire dal dono come ricompensa richiesta consciamente o no e riscoprirne il vero valore quale servizio -fraterna appartenenza e gioia, semplicità, letizia.
A operatori del sociale affinché si alleggerissero dal peso di portar dolore altrui e si facessero dono di momenti di nutrimento sano: sorseggiassero alla bellezza e alla giustizia della vita…anche solo per un attimo.
Ad immigrati stranieri perché non si sentissero soli ma potessero parlare e descrivere artisticamente il sole, la luna e le stelle…etc le stesse nostre ma lontane e diverse…e per un momento ci potessimo sentire proprio uguali nella nostra differenza.
A bimbi per gioire con loro e farli tornare alla meraviglia della loro discesa sulla terra, alla libertà.
A giovani puerpere per ristabilire l’appartenenza con il Creato dopo l’esperienza sconvolgente dell’aver donato grazie al loro corpo e al loro “si” un essere umano nuovo al mondo.
A genitori in crisi affinché potessero ritrovare attraverso l’ampliamento della loro visione la riconnessione con la forza dell’Amore che li ha fatti conoscere per uscire insieme dalla morsa della mondanità e dall’uso illusorio del corpo e del possesso e tradimento.

In ogni ambito il percorso è stato studiato affinché ci fossero le premesse necessarie al raggiungimento dell’obbiettivo specifico.
Spesso si è creato il Cantico del Gruppo, dividendo compiti e spazi d’osservazione per ampliare, potenziare, nutrire la speranza collettiva e l’impegno. L’appartenenza al Cantico universale.
L’esperienza artistica, lo sperimentare attraverso tecniche artistiche i diversi quadri è stato in ogni caso l’elemento trasversale .
Il percorso ha sempre visto un accompagnamento preciso attraverso le parole di Francesco, non un interpretazione fantasiosa. Si aderisce con libertà e fantasia morale a ciò che Francesco ci ha donato. Si affinano i sensi esteriori e la consapevolezza interiore. Ci si apre all’accoglienza di ciò che c’è. Non si interpreta passando dal nostro dolore, si allevia il dolore nutrendoci con la realtà e i suoi elementi d bontà , verità, bellezza.